Scheda tecnica
Regia:Tatiana Mazú González
Produttore:Nacho Losada
Fotografia:Francisco Bouzas
Montaggio:Manuel Conballel
Mixing:Mercedes Tennina e Sebastián González
Sound design: Jubión Galay
Grafica: Sofía Mazú González
Designer del colore e degli effetti visivi: Daniela Medina Silva
Correzione del colore: Eduardo Sierra
Assistenza alla postproduzione sonora: Hernán Higa
Sinossi
Un incrocio di viali che è, allo stesso tempo, il confine tra la città di Buenos Aires e la sua periferia. Ogni sera, migliaia di persone lo attraversano per tornare a casa dal lavoro. Autobus, semafori, asfalto, cemento, un cartello arrugginito. Qualcuno che va a scuola, qualcuno che vende pane. Luci stradali e propaganda elettorale. Cellulari e pubblicità di hamburger. Rifiuti e una signora che vende fiori. La storia di una madre che ha perso il figlio nelle mani della polizia affronta l’immagine della normalità. La sua lotta e la sua voce disegnano i mondi immaginari di Jules Verne, sui quali hanno fantasticato insieme. Questo film è un processo di scavo. Ovvero la dissezione del paesaggio in cui, quindici anni fa, lo Stato ha fatto sparire Luciano Arruga.
Note di regia
Il 17 ottobre 2014 stavo viaggiando in autobus verso Ciudad Oculta, un villaggio storico vicino a casa mia, per la prima del cortometraggio di un amico. L’autobus passava davanti alla porta di El Olimpo, un ex centro di detenzione clandestino durante l’ultima dittatura militare. Mentre riconoscevo il luogo, ho ricevuto un SMS: “Hanno trovato il corpo di Luciano Arruga. È stato sepolto nel cimitero di Chacarita come uno sconosciuto”. Capitalismo, Stato, governi, repressione, democrazia, desaparecidos. A Ciudad Oculta, l’allora presidente dell’Istituto Nazionale del Cinema e delle Arti Audiovisive, ringraziò la Polizia Federale per il sostegno alla proiezione di strada. Mi venne da vomitare.
Quella sera, quando tornai a casa e aprii Facebook, qualcuno aveva caricato un’immagine di Google Street View dell’incrocio tra Avenida General Paz e Avenida Mosconi: era lì che si erano perse le tracce definitive di Luciano Arruga, cinque anni fa. Era l’incrocio in cui la polizia aveva gettato il suo corpo affinché le auto distruggessero le prove dei pestaggi e delle torture che lo avevano portato alla morte. Sapevo della lotta dei suoi parenti grazie alla mia militanza politica all’università per anni. Ma fino a quel momento non mi ero reso conto che per 27 anni quel semaforo, quell’incrocio, quel ponte, quella stazione di polizia non erano stati altro che i segnali che dovevo far scendere dall’autobus ogni volta che andavo a trovare mia nonna. Un anno dopo mi trasferii nella casa di famiglia. E quello divenne il mio paesaggio quotidiano. E con una sensazione inspiegabile in corpo ho pensato: c’è un film a questo incrocio.